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IL CASO CIRILLO LA TRATTATIVA STATO-BR-CAMORRA

IL CASO CIRILLO LA TRATTATIVA STATO-BR-CAMORRA

Fermate quel giudice

«Generalmente, questo tipo di trattative non lascia traccia; in questo caso però, grazie a un magistrato coraggioso e tenace, il giudice Carlo Alemi, disponiamo di informazioni assai precise a proposito delle ambigue trattative che si svolsero tra il potere e la mafia allo scopo di salvare il Cirillo».

Jacques de Saint-Victor


«A dodici anni dal sequestro una sentenza sposa in pieno le conclusioni di Alemi. La trattativa c’è stata, l’hanno condotta i politici e i soldi per pagare il riscatto non sono stati il frutto di una spontanea offerta di amici e parenti di Cirillo».

Bruno De Stefano


«Carlo Alemi, unico magistrato inquirente che ha osato sospettare dei notabili democristiani, uscendo dal circuito costituzionale (come dirà il Presidente del Consiglio Ciriaco De Mita in pieno Parlamento per controbattere alle richieste di dimissioni del Ministro dell’Interno Antonio Gava) finisce davanti al Consiglio Superiore della Magistratura. […] La Procura della Repubblica, che al contrario non sospetta nulla, al processo di primo grado sulla trattativa è rappresentata dal sostituto procuratore Alfonso Barbarano, il quale si oppone a qualsiasi richiesta degli avvocati mirante ad approfondire i retroscena della liberazione di Cirillo».

Marisa Figurato


«Sulle trattative, sui rapporti con la camorra, sulla partecipazione dei politici, nessuno di loro dice nulla, a parte: “non ricordo”, “ho rimosso”. […]  E rischia anche lui, il dottor Alemi. Dopo il primo processo alle BR napoletane vuole andare più a fondo sulle trattative, sul coinvolgimento di Cutolo e anche su quello di eventuali politici».

Carlo Lucarelli


«È provato che, in occasione del sequestro Cirillo, vi sono stati fatti di gravissima degenerazione e deviazione dei nostri Servizi di Sicurezza».

Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi [Presidenza del senatore Libero Gualtieri, 4 ottobre 1984]


«Per quanto riguarda il giudice Carlo Alemi, l’Italia dovrebbe essere orgogliosa di aver avuto servitori dello Stato così tenaci e indipendenti. La vicenda Cirillo la dice lunga sulla solitudine che alcuni magistrati italiani hanno dovuto sopportare per tentare di fare giustizia. Speriamo che finalmente Alemi trovi il tempo di scrivere le sue memorie e raccontarci, sciolto da altri vincoli, tutto ciò che non ha potuto scrivere negli atti giudiziari».

Isaia Sales


«La sentenza istruttoria del giudice Carlo Alemi si segnala per il suo coraggio civile e per aver messo in luce, pur all’interno di rigide regole processuali, contraddizioni e lacune delle versioni ufficiali sui fatti, complicità e distrazioni dell’apparato statale, pesanti compromissioni della DC nazionale e campana in tutta la storia».

Nicola Tranfaglia



Carlo Alemi
Presentazione di Luigi Necco
Prefazione di Franco Roberti
Formato:140 x 210
Pagine: 334
978-88-7937-754-6
€ 16,00


È la sera del 27 aprile del 1981 quando Ciro Cirillo, assessore regionale ai Lavori Pubblici della Regione Campania, viene sequestrato nel garage di casa, a Torre del Greco, da un commando di cinque uomini appartenenti alle Brigate Rosse, capeggiati da Giovanni Senzani. Nel conflitto a fuoco che segue perdono la vita l’agente di scorta di Cirillo, il brigadiere Luigi Carbone, l’autista Mario Cancello, e viene gambizzato Ciro Fiorillo, segretario dell’assessore. Ex presidente della Regione, democristiano “doroteo” molto vicino ad Antonio Gava, Cirillo è uno degli uomini politici più addentro ai meccanismi del potere; da qualche mese, inoltre, è diventato presidente della Commissione incaricata di gestire gli appalti del post-terremoto del 1980.
Lo Stato annuncia la linea dura: come già per Aldo Moro tre anni prima, non tratterà con le BR. Cirillo verrà rilasciato dopo 89 giorni di prigionia, all’alba del 24 luglio, in un
palazzo abbandonato di via Stadera, a Poggioreale. La liberazione era stata annunciata il giorno prima da un comunicato, in cui i rapitori dichiaravano che a sobbarcarsi l’onere del riscatto - un miliardo e 450 milioni di lire - era stata la Democrazia Cristiana, suscitando un enorme scandalo, nonché l’immediata smentita da parte dei familiari, che si assunsero la totale responsabilità di quel pagamento. La stessa liberazione fu costellata da episodi controversi, come quello per cui Cirillo, invece di essere tradotto in Questura, come da disposizioni della magistratura, venne portato a casa, dove vano sarà il tentativo di interrogatorio da parte dell’allora pubblico ministero di Napoli Libero Mancuso, causa stato di semincoscienza ascrivibile a choc - salvo poi colloquio personale, a porte chiuse, con Antonio Gava e Flaminio Piccoli, esponenti di spicco del partito. Fin da subito emersero dubbi anche in merito alla cifra pagata per il riscatto: si vociferava, infatti, che l’ammontare fosse stato pattuito grazie all’intercessione della camorra, cui sostanzialmente si doveva il merito del rilascio, e che la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo - il più sanguinario capo camorra dell’epoca - ne avesse incassato almeno una metà: la somma sarebbe stata messa insieme da un gruppo di imprenditori edili, “amici” della DC - legati a doppio filo a Cirillo per questioni di appalti - e i “colloqui”, tanto con funzionari dei Servizi Segreti che con esponenti politici, si sarebbero svolti direttamente nell’“allegro” carcere di Ascoli Piceno, in cui era detenuto ‘o Professore, per il tramite di faccendieri senza scrupoli. Inizia così quella che il presidente emerito Giorgio Napolitano ha definito «una delle pagine più nere dell’esercizio del potere nell’Italia democratica»: il sequestro è destinato infatti a divenire uno dei più clamorosi casi politici e giudiziari degli anni bui della Repubblica Italiana.
A indagare sul caso Cirillo è il magistrato Carlo Alemi che, in qualità di giudice istruttore, diventa protagonista di alcune delle vicende più oscure e sanguinose degli anni di piombo, conoscendo e interrogando i personaggi più ambigui implicati nelle intricate trame della politica, della malavita organizzata, del terrorismo rosso e dei Servizi Segreti, fino a divenire, suo malgrado, inconsapevole agnello sacrificale. Gli elementi che si intrecciano nella sua ricostruzione sono tanti: fatti di cronaca nera, crimini mafiosi, ipotesi investigative, tentativi di depistaggi da parte di organi dello Stato, sparizione di documenti, misteri irrisolti, testimonianze scottanti, raggiri politici, Servizi deviati. È Alemi l’autore della straordinaria istruttoria condotta sul caso, affidatagli il 1° settembre del 1981 e conclusasi il 28 luglio del 1988, con il deposito della sentenza-ordinanza di 1.534 pagine destinata a fare Storia, un J’Accuse che scatenerà una vera e propria tempesta politica in Parlamento: c’è stata mediazione politica da parte di esponenti della DC, così come ci sono stati contatti e intercessioni con i brigatisti per il tramite di Servizi Segreti e Nuova Camorra Organizzata. Vengono chieste le dimissioni di Gava, divenuto intanto, con il nuovo governo De Mita, ministro degli Interni; il Presidente del Consiglio lo difende, respingendo al mittente le accuse, attaccando violentemente Alemi per le sue «opinioni indebitamente espresse e illazioni» e asserendo che il giudice ha abusato delle procedure, «ponendosi così fuori dal circuito costituzionale».
L’esito dell’istruttoria, che Carlo Alemi portò avanti, con coraggio e ostinazione, mettendo a rischio la sua stessa vita, tra minacce di morte - il suo nome figurava nell’agenda della “Primula Rossa” Barbara Balzerani - scorte negate, procedimenti per diffamazione e commissioni d’inchiesta - portò alla comminazione di 30 ergastoli. La sua ordinanza è diventata nel tempo oggetto di studio tanto nelle forze dell’ordine che nelle università italiane e negli atenei stranieri, in quanto documentazione preziosissima atta a testimoniare e ricostruire la storia dell’organizzazione terroristica nota con il nome di Brigate Rosse. Oggi, magistrato in pensione, per la prima volta e in esclusiva, il narratore d’eccezione della trattativa Stato-BR-camorra per la liberazione di Ciro Cirillo parla e racconta, svelando, in pagine dure e toccanti a un tempo, tra ricordi intimi e analisi storiche lucide e rigorose, chi effettivamente vi prese parte, per conto di chi e per quali motivi si siano mossi i Servizi Segreti e perché lo Stato, diversamente da quanto fece con Aldo Moro, trattò con i brigatisti.

 

Carlo Alemi nasce ad Addis Abeba, in Etiopia, nel 1941.
Magistrato di lungo corso, noto in particolare per le indagini sulle Brigate Rosse, sulla
Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e sul sequestro Cirillo, nonché per quelle
legate all’incendio della raffineria dell’Agip e alla dichiarazione di insolvenza della Banca di
credito campano del noto faccendiere Gianpasquale Grappone, ha chiuso la sua carriera
come presidente del Tribunale di Napoli.


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